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La Skin Chair, un lavoro per me oggi molto importante, in quanto ha segnato tutta la linea stilistica e progettuale delle opere a venire. Sì, progettuale, perché quando è stata realizzata notavo come ad ogni bozzetto realizzato corrispondesse un’azione progettuale profonda, che calibrava in sé tutti gli aspetti che un disegno industriale dovrebbe rispettare, quali dimensione, ergonomia e, nondimeno, praticabilità. Così la Skin Chair si presenta come una seduta fatta e finita, realizzata in atelier al PXL-MAD di Hasselt attraverso l’utilizzo di materiali non proprio usuali al campo del design, in quanto parliamo di ferro, gesso, rete metallica, poliuretano espanso e pasta epossidica, tutti materiali riconducibili ad un fare artistico piuttosto che industriale. La seduta ha di fatto una forma ambigua, dai bordi smussati e dalla superficie dimostrante la chiara azione manuale praticata su di essa. È una sedia che poggia su tre gambe anziché quattro, e che presenta, a livello dello schienale, un anello circolare atto ad impedirne l’utilizzo. Ed è qui, nella sua disfunzionalità, che si colloca il pensiero trainante tutto il mio lavoro scultoreo. L’oggetto inquestione è chiaramente una sedia, uno oggetto d’uso riconoscibile fin dal primo sguardo, ma si rende scultura in misura della sua impraticabilità. l’idea è quella di invitare il fruitore a farne utilizzo sedendosi, ma ciò che poi accade è che lo stesso si vedrà inevitabilmente respinto, poiché di fronte ad essi vi è ora un oggetto inospitale. Per alimentare tale dinamica, ho voluto conferire alla sedia un aspetto altrettanto ambiguo, dato qui da una superficie di rimando organico, una specie di pelle bruciata per intenderci. È ineluttabile l’attrazione che può suscitare all’uomo un elemento organico - o presunto tale-, Gober ce lo ha insegnato bene, e quella inospitalità di cui ho parlato è pienamente riconducibile al perturbante di freudiana memoria. Come scrive lo stesso, “la parola tedesca unheimlich [perturbante] è evidentemente l'antitesi di heim/ich [confortevole, tranquillo, da Heim, casa], heimisch [patrio, nativo], e quindi familiare, abituale, ed è ovvio dedurre che se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è noto e familiare. Naturalmente, però, non tutto ciò che è nuovo e inconsueto è spaventoso, la relazione non è reversibile; si può dire soltanto che ciò che è nuovo diventa facilmente spaventoso e perturbante”. Il termine descrive dunque la particolare condizione di un dato elemento di essere familiare, riconoscibile come qualcosa di caro e usuale, proprio come lo è una sedia all’interno della propria abitazione. Ma è reso altresì inquietante nella misura in cui ad esso viene riportata una particolarità nuova, e pertanto spaventosa e fonte di angoscia: “è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare” . In questo senso, la Skin Chair presenta subito tale ambivalenza, è un oggetto riconoscibile in quanto tale ma allo stesso tempo, attraverso una esplicita disfunzionalità e una sembianza lievemente antropomorta, fa sì che il visitatore ne venga contemporaneamente attratto e negato, generando in esso una sottospecie di inquietudine.

 

The Skin Chair, a very important work for me today, as it marked the entire stylistic and design line of the works to come. Yes, design-wise, because when it was created I noticed how each sketch created corresponded to a profound design action, which calibrated within itself all the aspects that an industrial design should respect, such as size, ergonomics and, nevertheless, practicability. Thus the Skin Chair presents itself as a finished and finished seat, created in the atelier at the PXL-MAD in Hasselt through the use of materials that are not exactly usual in the field of design, as we are talking about iron, plaster, metal mesh, expanded polyurethane and epoxy paste, all materials attributable to an artistic rather than industrial practice. The seat actually has an ambiguous shape, with beveled edges and a surface that clearly demonstrates the manual action practiced on it. It is a chair that rests on three legs instead of four, and which has, at the backrest level, a circular ring designed to prevent its use. And it is here, in its dysfunctionality, that the thought driving all my sculptural work lies. The object in question is clearly a chair, an everyday object recognizable at first glance, but it becomes a sculpture to the extent of its impracticability. the idea is to invite the user to use it by sitting down, but what then happens is that they will inevitably be rejected, since there is now an inhospitable object in front of them. To fuel this dynamic, I wanted to give the chair an equally ambiguous appearance, given here by an organic surface, a kind of burnt skin so to speak. The attraction that an organic element - or presumed such - can arouse in man is inevitable, Gober taught us this well, and that inhospitality I spoke of can fully be traced back to the uncanny of Freudian memory. As he himself writes, "the German word unheimlich [uncanny] is evidently the antithesis of heim/ich [comfortable, quiet, from Heim, home], heimisch [homeland, native], and therefore familiar, habitual, and it is obvious to deduce that if something scares it is precisely because it is not known and familiar. Naturally, however, not everything that is new and unusual is scary, the relationship is not reversible; one can only say that what is new easily becomes frightening and disturbing." The term therefore describes the particular condition of a given element of being familiar, recognizable as something dear and usual, just like a chair is in one's home. But it is also made disturbing to the extent that a new particularity is brought to it, and therefore frightening and a source of anguish: "it is that sort of frightening that goes back to what has been known to us for a long time, to what is familiar to us' '. In this sense, the Skin Chair immediately presents this ambivalence, it is a recognizable object as such but at the same time, through an explicit dysfunctionality and a slightly anthropo dead appearance, it causes the visitor to be simultaneously attracted and denied by it, generating in it a subspecies of anxiety

Skin Chair

SKU: SNG001
€3,300.00Price
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  • Designer: Sonia Gasparini 

     

    Prodotto: Opera d'arte / Work of art

     

    Colori: Bianco / White

     

    Misure: 48 x 50 x 95 cm  

     

    Materiali: Ferro, gesso, rete metallica, poliuretano espanso, pasta epossidica e colore acrilico / Iron, plaster, wire mesh, polyurethane foam, epoxy paste and acrylic paint

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